I Power Purchase Agreement fondamentali per un pieno sviluppo delle rinnovabili. Ma occorre rimuovere molti ostacoli burocratico-amministrativi.
Di Francesco CALABRETTA – Country Manager Italia, Audax Energia
“Semplificazione” e “chiarezza”. Ecco le parole – anche se la seconda spesso dipende dalla prima – maggiormente usate e ricercate in questo primo periodo post-pandemia.
Da più parti vi è la convinzione che per riannodare il filo interrotto o sospeso delle attività e ricucire lo strappo economico-sociale di questi mesi sia necessario e urgente individuare modi di “fare” e di “decidere” più efficienti ed efficaci. A partire dall’energia e dalla promozione di politiche di sostenibilità ad essa legate.
Qualche giorno fa RE-Source, associazione che riunisce gruppi industriali di livello mondiale interessati all’energie rinnovabili, ha indirizzato una lettera ai governi degli Stati membri dell’Unione europea. L’occasione era far sentire la propria voce in vista della discussione sul Piano continentale a sostegno dell’economia, invitando a fare chiarezza sulle modalità di utilizzo dei 750 miliardi di euro del Recovery Plan, soprattutto per quanto riguarda gli investimenti in sostenibilità. Tra le richieste, la prima riguarda l’instaurazione di un quadro politico e normativo che permetta un ricorso agevolato a strumenti come i corporate PPA, Power Purchase Agreement.
Infatti, benché siano preziosi strumenti di sviluppo delle FER (non idro), spesso sono difficilmente utilizzabili, rallentati dalla poca semplificazione normativa e dalla presenza di barriere di natura burocratica.
Eppure la realizzazione di nuovi impianti di generazione di energia pulita dovrebbe essere una priorità e non solo una fra le opzioni. E la politica europea del Green Deal varata a gennaio si poggia anche su questo principio. Inoltre, se si vuole combattere il climate change e rispettare gli impegni presi per la riduzione delle emissioni è indispensabile facilitare la costruzione di parchi eolici e fotovoltaici. Per capirsi: da qui al 2030 sono al momento previsti 826 GW per nuovi impianti Fer non-idro, con investimenti stimati in circa 1.000 miliardi di dollari. Tuttavia, se si vuole tener fede a quanto deciso negli accordi sul clima di Parigi, ne servirebbero almeno 3.000 di GW… Il deficit è evidente e non trascurabile (Rapporto UNEP-BNEF 2020).
Oltre che sull’ambiente, si avrebbe un positivo effetto sull’economia. Investire in rinnovabili significa creare nuove opportunità di business per le aziende e generare occupazione, anche a breve-medio termine: elementi indispensabili se si desidera recuperare quanto si perderà in termini di PIL e, di conseguenza, di diminuzione di reddito.
In Italia il settore delle FER è in crescita. Secondo l’IREX Annual Report, nel 2019 vi sono state 211 operazioni per un totale di 10,2 GW di potenza e 9,5 miliardi di euro di valore. In particolare, è da sottolineare il ritorno di interesse per nuovi impianti o progetti: il 51% delle operazioni (nel 2018 la percentuale era del 27%) ha riguardato questa tipologia di intervento. Un avanzamento che rispecchia lo stato di salute di un settore che ha ritrovato dinamismo e che senz’altro ha beneficiato del cosiddetto decreto FER1.
Purtroppo, le performance positive sovente vengono annacquate o frenate da un ostacolo, antico quanto difficile da eliminare: si tratta della sovrabbondante burocrazia che fa sì che più della metà dei progetti censiti in Italia sia ferma, bloccata e in attesa delle necessarie autorizzazioni. Un apparato che Jacopo Giliberto sul Sole24 Ore definisce proprio di “un’amministrazione pubblica che soffre di gastrite autorizzativa, di obesità normativa, di retorica compulsiva”.
Una situazione già complicata che, senza correttivi, potrebbe diventare insostenibile per l’intero settore. Con il rischio che gli investimenti più consistenti – per valore ed entità – non abbiano più come destinazione il nostro Paese, ma mercati con meccanismi meno farraginosi. A meno che lo shock – anche culturale – generato dal COVID-19 possa finalmente modificare quanto oggi esiste, a partire dall’utilizzo semplificato di strumenti finanziari in grado di creare le condizioni per investimenti di grande portata, quanto quelli per la costruzione di un impianto di generazione di energia rinnovabile. E torniamo, dunque, ai PPA.
Nel 2019 si è registrato il più alto volume di accordi di compravendita di energia a lungo temine per le aziende (Corporate PPA): 19,5 GW. Nella sola Europa i nuovi PPA relativi a progetti rinnovabili hanno toccato i 7,5 GW, facendo segnare un +2,6 GW rispetto al 2018. I Paesi Scandinavi rimangono fra i primi utilizzatori. Segue il Regno Unito, mentre continua a crescere la Spagna.
Audax Renovables in questo è stata fra le prime società europee a credere nei PPA. Dal 2017 a oggi ne ha siglati per oltre 1,7 GW, attivando partnership strategiche con soggetti quali Trina Solar, WeLink, Innogy, Statkraft, Cox Energy. La bontà della direzione strategica presa è confermata dai risultati: la società ha chiuso il primo trimestre 2020 con un incremento del margine lordo del 3,2%, un EBITDA di 12 milioni e un profitto di 1,4 milioni di euro.
José Elías, presidente e fondatore del Gruppo, l’aveva rivendicato in un’intervista rilasciata all’inizio di maggio, in piena emergenza coronavirus: “siamo una delle poche aziende che stanno costruendo fotovoltaico proprio oggi, nel pieno della crisi senza per questo subirne eccessivamente le conseguenze”.
Ora, fuori dal periodo più buio e auspicando l’instaurazione di un quadro normativo semplificato ed efficiente, abbiamo il dovere di insistere su questa linea di sviluppo.
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