Storicamente il settore del freddo ha attraversato fasi che hanno rivoluzionato la progettazione, la produzione, l’installazione e la manutenzione delle piccole apparecchiature per il condizionamento, come ultimamente avviene per l’infiammabilità dei gas refrigeranti di ultima generazione. Si sta oggi affrontando un profondo mutamento di natura tecnologica nato dall’esigenza di trovare una risposta in breve tempo alla questione ambientale, ovvero la riduzione delle emissioni dannose per l’ambiente.
Nel settore del piccolo condizionamento residenziale e commerciale è in atto una profonda rivoluzione, che da un lato contribuisce a risolvere le problematiche ambientali, ma dall’altro pone la nuova questione dell’infiammabilità dei gas refrigeranti. In passato si sono già verificati rapidi e radicali mutamenti nel settore, il più delle volte sempre legati all’uso di varie tipologie di refrigeranti. Una ventina di anni fa il cambiamento si ebbe quando fu deciso di abbandonare l’R22 nei climatizzatori di tipo split per passare prima all’R407C e, in un secondo momento, all’R410A. Quella fu una piccola rivoluzione, dato che gli ultimi due fluidi frigoriferi citati appartengono alla famiglia degli IdroFluoroCarburi (HFC), mentre l’R22 risulta essere un IdroCloroFluoroCarburo (HCFC). La distinzione non è di poco conto, dato che all’epoca comportò alcuni significativi cambiamenti nelle prassi operative per la gestione dei fluidi nonché anche il passaggio a componenti e attrezzature frigorifere diverse.
I gas refrigeranti HFC
L’impiego dei fluidi HFC ebbe come prima conseguenza l’abbandono degli oli minerali che fino a quel tempo andavano per la maggiore. I refrigeranti HFC non vanno d’accordo con tale tipo di olio per cui la loro introduzione rese necessario il passaggio alla tipologia degli oli sintetici, come ad esempio i POE (Poliestere). Questi nuovi oli richiesero nuove attenzioni da parte di chi li maneggiava e gestiva in quanto, a differenza degli oli minerali, risultano essere molto igroscopici, ossia sono in grado di legarsi facilmente all’acqua e di incamerare al loro interno grandi quantità di umidità in tempi molto brevi. Con i refrigeranti HFC ebbe origine il problema dell’umidità all’interno del circuito perché in alcuni casi nascevano dei guai a causa sua. I compressori si guastavano a causa di cortocircuiti negli avvolgimenti del motore elettrico proprio perché quell’umidità che penetrava nel circuito corrodeva, in determinate condizioni, gli isolamenti degli avvolgimenti.
L’avvento degli HFC portò anche novità per quanto riguarda le procedure di lavoro, perché la maggior parte di essi risultava essere una miscela, ossia un composto di due o più refrigeranti diversi opportunamente miscelati. Prima dell’R407C e dell’R410A i climatizzatori split funzionavano tutti a R22, un fluido puro, che quindi si lasciava gestire nella maniera più duttile possibile. Soprattutto con l’R407C, nacque la necessità di movimentare sempre il refrigerante in forma liquida, altrimenti si correva il rischio di smiscelare il fluido e di immettere o recuperare dal circuito un fluido frigorifero la cui composizione percentuale dei vari componenti non era più quella originaria.
Introduzione dell’R32: l’infiammabilità dei gas refrigeranti
Con queste premesse, i cambiamenti attualmente in atto che riguardano le piccole apparecchiature per il condizionamento dell’aria non sono specifici solo di tale settore, ma sono più generalizzati e riguardano tutto il mondo del freddo. Sono oggi gli HFC a essere messi sul banco degli imputati subendo la stessa sorte occorsa qualche decina di anni fa all’R22 che portò sulla scena l’R407C e l’R410A. Alla radice vi è sempre una motivazione ambientale, oggi talmente importante da convincere i poteri decisionali a imporre la riduzione progressiva dell’utilizzo di questi fluidi, sostituendoli con altri meno inquinanti che presentano però caratteristiche di infiammabilità. Tocca ora all’R32 e ad altri refrigeranti in fase di sperimentazione, studio e prototipazione giocare il ruolo di fluidi sostitutivi dell’R407C e R410A nei piccoli condizionatori ad uso residenziale. Il passaggio all’impiego dell’R32 e simili ha portato nella componentistica e nelle procedure nuovi vincoli da tenere in considerazione.
Come adeguarsi all’infiammabilità dei gas refrigeranti
L’attuale transizione in atto verso fluidi frigoriferi meno dannosi per l’ambiente comporta il dover porre attenzione alla nuova problematica dell’infiammabilità dei gas refrigeranti, che dall’epoca dei primi fluidi frigoriferi in uso nel ‘900 si presentava raramente e in circostanze ben delimitate. La maggior parte dei refrigeranti che risultano essere meno inquinanti, e quindi con grandi prospettive d’uso per il futuro, sono infatti caratterizzati dall’essere leggermente infiammabili o infiammabili. Tale problematica non risulta essere difficile da gestire, ma è una novità assoluta per la maggior parte del personale che lavora in questo settore: in termini di progettazione, produzione, installazione, manutenzione, dismissione di tali tipologie di apparecchiature.
Raramente ci si è dovuti cimentare con il problema dell’infiammabilità di tali fluidi, per cui ora si è chiamati a una svolta epocale nel modo di concepire e di svolgere questo lavoro. L’infiammabilità dei gas refrigeranti implica un mutamento radicale nel tipo di approccio operativo e gestionale, magari difficile da percepire per chi comincia oggi, ma molto evidente per chi lavora da diverso tempo nel settore.
Come evitare l’infiammabilità dei gas refrigeranti
Il punto nodale che rivoluziona tutte le teorie e le prassi lavorative è nel fatto che quando si usano sostanze infiammabili, o leggermente infiammabili come l’R32, laddove vi è la presenza refrigerante non può esservi la contemporanea presenza di una fonte di innesco. Ovviamente i primi settori ad essere coinvolti sono quello della progettazione e della produzione dei climatizzatori split che devono provvedere principalmente ad evitare che il refrigerante possa venire a contatto con componenti elettrici o frigoriferi del circuito in grado di produrre archi elettrici o di raggiungere temperature elevate potenzialmente pericolose. A causa di ciò va posta attenzione anche al posizionamento all’interno dell’apparecchiatura dei componenti che possono costituire una potenziale fonte di innesco e che per nessuna ragione al mondo poi, chi esegue la manutenzione sull’apparecchiatura installata, deve pensare di poter spostare in altra posizione, anche se adiacente.
Quando non è possibile evitare la potenziale contemporanea presenza di refrigerante e fonte di innesco allora il componente elettrico o frigorifero va debitamente isolato ermeticamente, in modo da evitare qualsiasi possibilità di contatto. Terminato il lavoro, è buona norma assicurarsi che tale ermeticità rimanga garantita prima di rimettere in funzione l’apparecchiatura.
Ulteriore innovazione è nella modalità di connessione dell’unità interna alle tubazioni di collegamento con l’unità esterna: da sempre esse erano del tipo a cartella mentre ora, per diminuire al minimo la possibilità di fughe interne ai locali, sono state introdotte quelle a brasare, che offrono maggiore sicurezza di tenuta.
Altre prassi operative che il manutentore deve considerare quando lavora con gas refrigeranti infiammabili o leggermente infiammabili, riguardano le modalità di gestione del fluido frigorifero. La necessità di assenza di concentrazioni elevate di refrigerante all’interno dell’area di lavoro costituisce il presupposto indispensabile per poter lavorare in sicurezza. In ragione di ciò vanno adeguatamente adattate tutte le procedure di lavoro come l’uso del recuperatore, che diventa imprescindibile perché sfiatare in ambiente un gas refrigerante infiammabile diventa pericoloso per sé e per gli altri.
Anche un accorto utilizzo della pompa del vuoto che emette all’interno dell’ambiente di lavoro il fluido frigorifero estratto dal circuito va gestita in maniera opportuna. L’uso del cannello per le operazioni di brasatura e sbrasatura del circuito deve essere opportunamente condotto con tutte le precauzioni del caso, soprattutto quando si va a dissaldare un componente del circuito bisogna ricordarsi che si sta impiegando un attrezzo potenziale fonte di innesco. Diventa indispensabile quindi ricorrere all’impiego dell’azoto come elemento diluente della concentrazione di refrigerante laddove necessario.
Con i gas refrigeranti infiammabili o leggermente infiammabili è fondamentale lavorare sempre in ambienti ben aerati e ventilati, creando anche appositamente correnti d’aria in grado di diluire e/o disperdere eventuali elevate concentrazioni di refrigerante che si possono verificare nell’ambiente di lavoro.
Infine, non è possibile non ricordare che la rivoluzione in atto ha portato ad una modifica delle caratteristiche delle attrezzature elettriche in uso (recuperatori, cercafughe e quant’altro) che devono essere idonee a funzionare in atmosfere potenzialmente esplosive e che quindi contemplano accorgimenti costruttivi e tecnologici diversi da quelli presenti sugli strumenti in uso con la precedente generazione di refrigeranti.
(testo elaborato sulla base dell’articolo di Pierfrancesco Fantoni in uscita su Tis di novembre 2021)
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