La trasmissione del calore avviene tramite conduzione, convezione e irraggiamento. Questo articolo si rivolge a chi è intenzionato a esordire nel mondo della refrigerazione e si pongono domande sui fenomeni termodinamici che ne determinano le tecnologie. Lo scopo è quello di illustrare in modo divulgativo quei rami della fisica che forniscono una migliore comprensione di certi eventi, portando il lettore a una maggiore consapevolezza delle correlazioni esistenti tra cause ed effetti. Buona lettura della seconda parte.
Ciclo del frigorifero: vapore saturo e vapore surriscaldato
Vapore saturo
Questo concetto è alla base del funzionamento del frigorifero e verrà ripreso anche in seguito. Consideriamo un liquido come l’acqua, chiuso all’interno di un recipiente e riempito per metà da esso. Nella parte superiore del recipiente sono presenti molecole di acqua allo stato gassoso, che sono evaporate dal liquido sottostante. La quantità di molecole in fase di vapore influenza l’evaporazione stessa del liquido, infatti le molecole di gas venendo a contatto con la superficie dell’acqua possono tornare allo stato liquido.
All’inizio dell’evaporazione sono presenti poche particelle in fase gassosa, quindi le molecole che si trovano sulla superficie del liquido e che possono staccarsi da esso, passando alla fase di gas, sono più numerose di quelle che vi rientrano. In seguito, le particelle che passano alla fase gassosa aumentano sempre di più in numero, e ciò fa sì che vi sia un aumento anche nel numero di particelle che si trovano a contatto con la superficie del liquido, e che quindi possono ritornare in esso.
Questo processo continua fino a quando il numero di particelle che passa alla fase gassosa uguaglia il numero di particelle che rientra in fase liquida, stabilendo un equilibrio tra le due fasi. Ora il gas presente nella parte superiore del recipiente esercita una pressione sul liquido sottostante e sulle pareti del contenitore. Tale pressione viene definita pressione (o tensione) di vapore saturo, e rappresenta la massima pressione che quel gas può esercitare ad una precisa temperatura.
Quando la pressione di vapore del gas uguaglia la pressione atmosferica, la temperatura raggiunta dal gas viene definita come “temperatura di ebollizione”, indicando la temperatura alla quale la pressione di vapore saturo diviene uguale alla pressione atmosferica. Nel caso dell’acqua ad esempio, la pressione di vapore uguaglia quella atmosferica quando, al livello del mare, la temperatura del liquido raggiunge i 100° C.
Possiamo notare la presenza della pressione di vapore saturo anche nel fenomeno dell’ebollizione di un liquido che viene scaldato da una sorgente di calore, in cui si andranno a formare delle bollicine di vapore al cui interno la pressione è pari a quella del vapore saturo. Il vapore ha chiaramente una densità inferiore a quella del liquido e per questo motivo vi galleggia al di sopra. Quello che non vediamo è un fenomeno microscopico che si produce, cioè una condizione di equilibrio tra fase liquida e fase gassosa (vapore), in cui il numero di particelle (o meglio “entità molecolari”) che dalla fase liquida passano alla fase gassosa è uguale in media al numero di quelle che condensano nel liquido. Quando avviene questo fenomeno, si dice che siamo alla presenza di “vapore saturo”. Per quelli che hanno un po’ di pratica con gli impianti frigoriferi, possiamo aggiungere che questa situazione si verifica all’interno del ricevitore del liquido dove il refrigerante si trova in condizione di saturazione.
Definita la pressione di saturazione, a ogni gas corrisponde una temperatura di ebollizione, ma anche definita la temperatura di ebollizione, a ogni gas corrisponde una pressione di saturazione. Da questo si deduce che un qualsiasi gas puro, in condizioni di saturazione, esercita una pressione che dipende unicamente dalla temperatura a cui si trova. Detto ciò, è valido anche il ragionamento inverso, ovvero data una pressione e una temperatura di ebollizione possiamo definire, con apposite tabelle, di quale sostanza stiamo parlando. Se ad esempio chiedessimo qual è la sostanza che bolle a 100°C quando la pressione è pari a 101325Pa, appare ovvio anche senza l’uso di tabelle, che la risposta sia “acqua”. Nel gergo comune si usa chiamare “pressione indicata” quella corrispondente a una certa temperatura e “temperatura indicata”, quella corrispondente a una certa pressione.
Vapore surriscaldato
Riprendiamo l’esempio della pentola sul fuoco piena di acqua bollente, poniamo sopra un coperchio a cui è connesso un tubo tramite un foro. Il vapore che scorre dentro il tubo (nel caso ipotetico che sia adiabatico) si troverà alla pressione atmosferica e alla temperatura di 100°C, in altre parole alla stessa condizione che si ritroverebbe dentro alla pentola. Se dovessimo scaldare ulteriormente il tubo, e quindi anche il vapore in esso contenuto, questo si porterebbe a una temperatura maggiore crescente, pur rimanendo sempre alla pressione atmosferica. In questa condizione non sarebbe più possibile la formazione di liquido e questa fase, di pressione e temperatura, è definita con il termine di “vapore surriscaldato”.
Liquido saturo e liquido sottoraffreddato
Riprendendo l’esempio qui sopra citato, supponiamo di collegare sul fondo della pentola, un tubo in cui scorre dell’acqua bollente. Anche in questo caso l’acqua si troverà alla pressione atmosferica e a una temperatura di 100°C. Se dovessimo raffreddare il tubo, e quindi il liquido, ci troveremmo non più nella condizione di liquido saturo, ma in quella di liquido sottoraffreddato.
Calore sensibile e calore latente
Per provocare un cambiamento di fase, occorre fornire o sottrarre una quantità supplementare di calore oltre a quella necessaria a raggiungere la temperatura di trasformazione. La quantità di calore che provoca una variazione di temperatura si definisce calore sensibile. Quella che agisce sui legami molecolari, ma non provoca variazione di temperatura, si definisce calore latente.
In termodinamica il calore sensibile è la quantità di calore che viene scambiata tra due corpi producendo una diminuzione della differenza di temperatura tra i due corpi. Questo calore continua ad essere scambiato finché vi è una differenza di temperatura tra i due corpi nulla, cioè finché non viene raggiunto l’equilibrio termico. La quantità di calore necessaria ad incrementare 1°K, 1kg di acqua, è pari a 4,176 kJ (in realtà questa quantità di calore non è costante al variare della temperatura, ma per il nostro esempio le differenze sono trascurabili). Se, ad esempio vogliamo portare a 100 °C un chilo di acqua partendo dalla temperatura di 19 °C dovremo dunque erogare: (100 – 19) *4,176 = 334,88 kJ. Allo stesso modo, se volessimo raffreddare un chilo d’acqua da 19 °C a 0 °C, dovremmo asportare calore pari a 83,72 kJ. (19 – 0) *4,176 = 83,72 kJ.
Se a questo punto cessasse l’apporto o la sottrazione di calore (trascurando l’influenza dell’ambiente) noi rimarremmo indefinitamente alla presenza di un’acqua a 100 °C che non evapora, o di un’acqua a 0 °C che non si solidifica in ghiaccio. La quantità di calore fornito in un caso e asportato nell’altro infatti è quello sufficiente a determinare la variazione di temperatura richiesta per consentire il cambiamento di fase; ma ciò non basta a provocarlo. Fornendo calore sensibile o asportandolo, noi abbiamo accelerato o rallentato i moti molecolari in una misura che ha riscontro nella corrispondente variazione di temperatura. Sappiamo però che un cambiamento di fase non consiste solo in una variazione dei moti molecolari, ma anche in una modificazione dell’assetto di aggregazione della sostanza e cioè in una rottura di legami molecolari (nel caso della fusione e della vaporizzazione) o in una creazione di nuovi legami (nel caso della condensazione e della solidificazione). Per permettere che ciò avvenga, è necessario fornire o asportare molta più energia, cioè molto più calore. Questa seconda quantità di calore, che è assorbita o ceduta dalla materia durante il cambiamento di fase, si definisce calore latente e lo scambio avviene senza ulteriori variazioni di temperatura (e quindi in modo non apparente). Il calore latente di evaporazione è una quantità rilevante di calore, spesso maggiore a quella necessaria al semplice innalzamento della temperatura del liquido. Nel caso dell’acqua sono necessarie (come abbiamo visto) 334,88 kJ per portare un kg di liquido da 0 °C a 100 °C: (100-0)*4,176=417,6 kJ
Per ottenere la completa trasformazione in vapore dell’intera quantità di acqua è necessario fornire 2.272 kJ (anziché 417,6kJ), che rappresentano l’energia richiesta dalla rottura dei legami molecolari. Esiste anche un calore latente di congelamento, che rappresenta la quantità di energia asportata da una sostanza dopo che essa è stata portata alla propria temperatura di congelamento. Si tratta in genere di una grandezza meno rilevante di quelle riferite all’evaporazione, ma sempre importante rispetto alle quantità di calore sensibile che entrano in gioco. Nel caso di un kg di acqua a 19 °C, abbiamo sottratto 83,72 kJ per scendere alla temperatura di 0 °C. Dovremo sottrarre altri 334,88 kJ per ottenere il completo congelamento dell’intera quantità di acqua, benché questo cambiamento di fase avvenga senza un’ulteriore variazione della temperatura.
Ogni sostanza, e in particolare ogni sostanza alimentare, ha un proprio calore specifico e un proprio calore latente il quale, insieme o separati, sono elementi di calcolo per il dimensionamento dell’impianto frigorifero. Nel caso della conservazione a temperatura superiore a quella di congelamento, è sufficiente tener conto della quantità di calore sensibile che si deve asportare per raffreddare la sostanza dalla temperatura ambiente a quella di conservazione.
Nel caso della surgelazione, si dovrà tenere conto di tre grandezze:
– la quantità di calore sensibile di raffreddamento sino a 0 °C (o temperature prossime);
– la quantità di calore latente di congelazione;
– la quantità di calore sensibile di surgelazione necessaria per passare da 0 °C (o temperature prossime) a —25 °C.
La compressione di un gas
In ambito termotecnico, per “compressione” si intende il processo applicato ad un aeriforme, che comporta una riduzione del volume specifico del gas e di conseguenza un aumento di pressione e temperatura. In termodinamica l’effetto Joule-Thomson, o effetto Joule-Kelvin, è un fenomeno per cui la temperatura di un gas reale aumenta o diminuisce in seguito ad una compressione o ad una espansione condotta ad entalpia costante, ovvero una trasformazione adiabatica dalla quale non si estrae alcun lavoro.
In un cilindro si trova un ben definito gas ad una certa temperatura e ad una certa pressione in equilibrio termodinamico con l’ambiente circostante. Supponiamo di far scorrere il pistone verso il basso e di incrementarne la pressione, la pressione all’interno del cilindro aumenterà, ma aumenterà anche la temperatura del gas.
Un caso pratico lo ritroviamo quando, con una vecchia pompa a mano, gonfiamo la gomma della bicicletta: sentiremo che la parete della pompa si scalderà e questo fenomeno non è tanto dovuto all’attrito del pistone contro le pareti della pompa, ma dalla compressione dell’aria al suo interno. Di quanto si scalderà la pompa e l’aria al suo interno dipende da quanta energia viene impiegata nel gonfiare la gomma, dato che durante la compressione il gas acquista una quantità di calore pari al lavoro speso.
Espansione di un gas
In un cilindro (fig.4a) si trova un ben definito gas ad una certa temperatura e ad una certa pressione in equilibrio termodinamico con l’ambiente circostante; supponiamo, quindi, di far scorrere il pistone e di ridurre la pressione al suo interno (fig.4b), la pressione, all’interno del cilindro, diminuirà ma, conseguentemente, diminuirà anche la temperatura del gas. L’espansione dei gas è il fenomeno inverso della compressione. Quando un gas è lasciato espandere si è compiuto un lavoro dal sistema verso l’ambiente. Se l’espansione avviene adiabaticamente il gas deve raffreddarsi in conseguenza della diminuzione di energia interna. Quando un gas si espande la distanza media tra le sue molecole aumenta. Data la presenza di forze attrattive intermolecolari, l’espansione causa un aumento di energia potenziale del gas. L’aumento di energia potenziale produce quindi una diminuzione dell’energia cinetica e quindi una diminuzione di temperatura del gas. La relazione che lega temperatura, pressione e volume di un gas segue la legge dei gas perfetti di cui parleremo in seguito.
La trasmissione del calore: conduzione, convezione e irraggiamento
Fino ad ora abbiamo insistito su vari concetti ovvero: il calore è una forma d’energia che può essere trasferita, ma non può essere distrutta; questa energia è trasmissibile anche tra corpi diversi; il calore fluisce spontaneamente dal corpo più caldo al corpo più freddo, refrigerare un corpo significa sottrargli energia di tipo termico; il flusso termico (o calore) fluisce da un corpo ad un altro per conduzione, convezione, irraggiamento.
Trasmissione del calore per conduzione
La conduzione è un fenomeno tipico dei solidi o di zone di contatto tra corpi diversi, che si verifica quando il calore si propaga dalla zona più calda a quella più fredda senza spostamento di materia, a causa del movimento vibratorio delle molecole e degli atomi del corpo. Per esempio: scaldando un capo di una barra di metallo, si nota che in breve tempo, senza che vi sia stato movimento di materia, il calore è giunto all’altra estremità della barra. I materiali si dividono in buoni e cattivi conduttori del calore a seconda della loro maggiore o minore attitudine a trasmetterlo per conduzione. I cattivi conduttori del calore (sughero, polistirolo e poliuretano espanso, lana di vetro ecc.) sono denominati isolanti o coibenti.
Trasmissione del calore per convezione
La convezione è un fenomeno tipico dei gas e dei liquidi. Quando si riscalda una parte di essi, si verifica un movimento ascensionale dovuto alla minore densità della parte più calda. Come nel caso della pentola sul fuoco o del termosifone posto in un ambiente, si provoca così una circolazione del fluido (acqua nella pentola, aria nell’ambiente) dovuta alla salita delle particelle riscaldate e alla discesa di quelle più fredde.
Trasmissione del calore per irraggiamento
L’irraggiamento è il processo di emissione da parte di un corpo caldo di radiazioni elettro-magnetiche alcune delle quali (quelle denominate infrarosse) riscaldano il punto che colpiscono, come la luce del sole che giunge sino a noi attraverso il vuoto interplanetario. Ciò avviene senza contatto tra i due corpi a diversa temperatura e senza spostamento di materia. L’atmosfera, come ogni corpo, non lascia passare tutta la radiazione che giunge dal Sole. Una parte viene riflessa, viene inviata cioè indietro nello spazio senza che possa giungere al suolo; un’altra parte viene assorbita (e scalda i gas che formano l’atmosfera); una terza parte viene trasmessa, attraversa cioè l’atmosfera come se questa fosse trasparente e arriva al suolo. È solo quest’ultima parte della radiazione solare che noi possiamo utilizzare dalla Terra.
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