L’Italia è un paese che ha un enorme bisogno di investimenti nel settore idrico e fognario. Serve una nuova regolamentazione per permettere al comparto di innovarsi e diventare efficiente, è quanto è emerso in occasione del convegno inaugurale di ACCADUEO “Diamo Valore all’Acqua: L’innovazione nella manutenzione e gestione delle reti”, la manifestazione organizzata da BolognaFiere con il patrocinio del Ministero dell’Ambiente e della Tutela del Territorio e del Mare e della Regione Emilia-Romagna.
In Europa siamo il paese più ricco d’acqua e il più povero in termini di infrastrutture, sprechiamo quasi la metà dell’acqua distribuita. Oggi in Italia ci sono circa 530mila chilometri di acquedotti e circa 200mila chilometri sarebbero da rinnovare, è evidente che parliamo di un settore dove le aziende non si possono fermare ma devono fare manutenzioni e portare innovazione. Perché ciò avvenga servono investimenti e un approccio industriale che richiede anche capacità di spendere le risorse economiche a disposizione.
REVISIONE DELLA NORMATIVA
Il sistema italiano si basa sulla Legge Galli, varata 24 anni fa, che ha dato vita al servizio idrico integrato riformando il settore, legge che in alcuni casi resta ancora inapplicata. Per consentire gli investimenti è necessario una rivisitazione di tale legge che al tempo era stata visionaria sancendo l’acqua come bene pubblico, ma purtroppo ha fallito nel suo intento di integrare il servizio di fognatura. Oggi nel nord Italia 6 abitanti su 10 sono privi di rete fognaria, con un conseguente impatto ambientale devastante. Situazione ancora peggiore nel sud Italia dove ci sono 4.700.000.000 di euro per fare investimenti nel servizio idrico integrato ma non vengono utilizzati perché mancano le capacità d’impresa. “Oggi le risorse economiche ci sono, ma le aziende soprattutto al sud non hanno capacità di progettare e realizzare sistemi di depurazione. Servono investimenti e serve un approccio industriale”, ha detto Erasmo D’Angelis, Segretario Generale dell’Autorità di Bacino Distrettuale dell’Appennino Centrale.
Uno dei principali punti deboli del sistema idrico italiano è senza dubbio la tariffa idrica, oggi ci sono più di 92 tariffe, una per ogni ATO; serve una rivisitazione che vada nella direzione di uniformare la tariffa e il principio deve essere quello di pagare tutti, ma pagare meno. Con la tariffa non si paga l’acqua, che in Italia è un bene pubblico, ma il sistema di gestione delle reti.
“Il tema del servizio idrico integrato non va affrontato sul tema della governance e dell’assetto proprietario, ma sul tema della capacità di investire delle aziende perché il nostro paese ha un fortissimo ritardo e un gap di investimenti. Per fare questo servono requisiti dimensionali minimi e servono leggi che permettano alle aziende di essere più forti nella capacità di investire. La grande sfida che abbiamo davanti è supportata dalle tecnologie che ci consentono di superare il gap che abbiamo nei confronti degli altri Paesi dell’Unione europea”, ha detto Alessandro Russo, Vice Presidente di Utilitalia.
RAPPORTO ACCADUEO
Curato da CRESME è il “Primo rapporto congiunturale e previsionale sull’innovazione e sul mercato delle reti, dei sistemi acquedottistici, fognari e di depurazione in Italia 2018-2020”. Secondo i dati contenuti nel documento l’Italia è il secondo paese in Europa – dopo la Spagna – in termini di superficie irrigata. Nel 2017 il settore civile ha prelevato 9 miliardi di mc di acqua, di cui 8,3 miliardi di mc sono arrivati alle reti comunali mentre nelle nostre case ne sono arrivati solo 4,9 miliardi. Nel tragitto sono stati persi 4,1 miliardi di mc di acqua e nella sola rete di distribuzione la quota di perdite idriche totali ha raggiunto il 41,4%. Lo scorso anno l’agricoltura ha prelevato 17 miliardi di mc d’acqua e ne ha consumati 14,5 miliardi, perdendone 2,5 miliardi.
La condizione degli impianti di depurazione delle acque reflue è addirittura più critica ed è costata all’Italia una sanzione di 25 milioni di euro oltre 30 milioni di euro per ciascun semestre di ritardo fino alla completa messa a norma dei 74 agglomerati che risultano ancora difformi alla direttiva 91/271/CEE, la maggior parte dei quali è localizzato in Sicilia. Nel 2015 sono stati censiti 342 comuni ancora privi del servizio di depurazione delle acque reflue. Per evitare di ricevere ulteriori sanzioni l’unica soluzione è investire nella depurazione.
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