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IAQ: il terzo pilastro del comfort

Il comfort non è solo controllo della temperatura e dell’umidità dell’aria, ben lo sappiamo, ma si estende alla qualità dell’aria negli ambienti abitati (IAQ), siano abitazioni o luoghi di lavoro. Molto si è imparato e fatto in questo ambito ma ancora necessita di maggiori competenze da parte dei tecnici di settore

Indoor Air Quality (IAQ), un’espressione che durante il periodo Covid era entrata nel lessico comune e non solo tra gli addetti ai lavori, oggi ritorna ad essere trattata anche nei testi normativi, come la quarta versione dell’Energy Performance Building Directive che ci fornisce indicazioni su come deve “comportarsi” energeticamente e anche dal punto di vista del comfort ambientale, delle prestazioni lavorative e della salubrità di un edificio, sia esso nuovo o esistente. Ne parliamo con Gaetano Settimo, Coordinatore del Gruppo di Studio Nazionale sull’Inquinamento Indoor dell’Istituto Superiore di Sanità e Presidente dalla Società Italiana di Indoor Air Quality SIIAQ.

Una costruzione ha bisogno di almeno tre punti d’appoggio per reggere. E il comfort che ci attendiamo dalla climatizzazione ha tre elementi costitutivi: temperatura, grado di umidità e qualità dell’aria indoor (IAQ). Che la qualità dell’aria indoor non dipenda solo dall’impianto di climatizzazione è un altro dato di fatto, ma questo non esenta chi lavora su split, VRF, sistemi fan coil ad impegnarsi in un’attività di costante miglioramento di questo parametro che rappresenta il principale Determinate della salute.

“In questi anni c’è stata grande attenzione dell’intero settore dell’edilizia a questo rinnovamento dovuto al raggiungimento della decarbonizzazione da qui al 2030 – afferma Gaetano Settimo – ma questa evoluzione ha un’altra faccia della medaglia legata al costante e continuo miglioramento della qualità dell’aria all’interno degli spazi indoor. La quasi totalità della popolazione vive e lavora una larghissima percentuale del proprio tempo negli ambienti indoor, la quasi totalità dell’aria che respira è aria indoor, ed è lì che si costruisce lo stato di salute della popolazione”.

Il legislatore ha prestato un crescente interesse per la materia: in che cosa si è manifestato questo interesse?

“Dal primo Green Deal che è degli inizi del 2010 si pone una grande grande attenzione al ruolo dell’ambiente costruito, a quelle che sono il numero delle sorgenti, le caratteristiche e le proprietà dei prodotti e dei materiali sostenibili e a basse emissioni di carbonio che vengono utilizzai dal settore dell’edilizia: le indicazioni (es. EU-LCI) hanno come finalità esplicita quella di ridurre i rischi per la salute derivanti dall’esposizione ad agenti di disturbo della salute e del comfort”.

E questo riguarda i materiali, ma c’è anche un ruolo degli impianti di gestione dell’aria

“Questo ruolo va visto nel quadro di un tema importantissimo e delicatissimo, quello del ricambio dell’aria, sia di tipo naturale ma soprattutto di tipo meccanico. Tutti gli operatori esperti sul tema devono riuscire a cogliere oggi più che mai questa nuova visione organica che integra la ventilazione naturale e meccanica fra gli strumenti che permettono di gestire la qualità della vita in ambienti indoor. La performance energetica dell’edificio non può in alcun modo mettere a repentaglio la salute di coloro che vivono o lavorano perché da sola non contribuisce molto alla prevenzione della salute e della qualità di un edificio”.

Un approccio impegnativo, che obbliga a ragionare in maniera integrata

“Esattamente, bisogna lavorare tutti insieme, progettisti, installatori, costruttori e manutentori per far comprendere che l’impianto o la strategia di ventilazione di tipo meccanico una volta che viene scelta è elemento integrante di salvaguardia della qualità della vita nell’edificio e quindi tutte le azioni che vengono a valle, quelle della gestione quotidiana sul corretto funzionamento, dell’efficienza della ventilazione (es. direzione e distribuzione dell’aria), pulizia e manutenzione fanno parte di una visione organica di intendere il lavoro sull’edificio e sull’impianto”.

Concretamente in che cosa si manifesta questo approccio integrato?

“A livello progettuale è particolarmente importante come dicevamo la questione della definizione dei volumi di ricambio dell’aria che si devono adattare alle esigenze delle persone, considerando gli aspetti dimensionali, i livelli di occupazione, strutturali, il carico inquinate e di efficientamento energetico, ma operativamente ci sono scelte che competono a chi effettua i lavori, dalla scelta dei filtri alla loro sostituzione, ai piani di gestione compresa la verifica periodica, per garantire appunto il ruolo dell’impianto nel ricambio d’aria. Ma anche il tema del ricircolo deve essere preso in debita considerazione, perché su questo punto ci sono da fare considerazioni precise. Mi riferisco al ricircolo dell’aria, una soluzione efficiente sul fronte di fattori come la temperatura, ma che richiede di essere analizzata anche dall’angolo visuale della qualità dell’aria indoor. Lo abbiamo detto già prima, avere efficienza ai danni del comfort ambientale e della salute è un controsenso, perché diminuiamo sì l’impatto sul portafoglio dei consumi energetici, ma peggioriamo le condizioni di salute”.

Che cosa comporta questa premessa?

“Che tutto, dalla scelta della tipologia di filtri, al controllo della temperatura, dell’umidità, della CO2, al periodo stagionale (es. durante le ondate delle epidemie influenzali) deve entrare veramente a fare parte di questo grande pacchetto di conoscenza che tutte queste figure coinvolte devono iniziare a possedere e tenere in considerazione: quello del ricambio d’aria in uno spazio indoor non è più un problema che riguarda solamente l’installatore, perché  – quando si sceglie il sistema di ventilazione meccanica – dobbiamo aver chiaro quale ruolo riveste, quali sono i vantaggi, quali sono le performance e far comprendere che per far funzionare nel modo corretto questi impianti c’è la necessità anche di una corretta attenzione ai piani di manutenzione e alla pulizia”.

Tutto questo in nome di un principio base…

“Un principio alla base di qualsiasi manufatto edilizio: la ventilazione naturale e meccanica deve far parte di una strategia organica di corretta gestione degli edifici. La scelta di una tipologia di ventilazione in sede di progetto non è la garanzia dell’Indoor Air Quality, serve un approccio che gestisca la vita dell’impianto in rapporto alle condizioni di utilizzo degli spazi serviti, sia per quel che riguarda i volumi di ricambio, l’efficienza nella distribuzione dei flussi, la temperatura, l’umidità relativa, la filtrazione, sia per quanto riguarda l’igiene dell’impianto”.

E finalmente la normativa europea se ne prende carico, giusto?

“La IAQ e la IEQ (Indoor Environment Quality) vengono richiamate molto spesso nei diversi articolati proprio della Direttiva comunitaria. E c’è un altro messaggio importante, che si riferisce alle attività di monitoraggio di alcuni indicatori della qualità dell’aria: questi possono essere sicuramente utili per far comprendere la necessità di conoscere in tempo reale alcune caratteristiche dei nostri edifici in termini di temperatura, umidità relativa, CO2, composti organici volatili (VOC), tutti indicatori che, se correttamente utilizzati, possono aiutare a creare questa cultura della prevenzione”.

Quindi non solo impianto, ma anche monitoraggio

“Nelle situazioni a frequentazione più promiscua o con un numero maggiore di “utenti dello spazio” come uffici o centri commerciali è una leva fondamentale, perché stiamo parlando di un problema che riguarda anche la salute delle persone sui luoghi di lavoro. Ma indipendentemente dal campo applicativo, il monitoraggio è uno strumento che deve essere sempre presente nella quotidianità di chi progetta, installa, costruisce o gestisce i nostri i nostri ambienti indoor: gli ambienti si costruiscono per far star bene le persone. Questo non lo dobbiamo mai dimenticare”.

Questo è un punto risolvibile per gli edifici di nuova costruzione, ma molto complesso per le riqualificazioni…

“È proprio su questo punto che abbiamo questa grandissima sfida: chi costruisce edifici nuovi ha un compito semplificato dalla possibilità di concepire le regole di comfort e di prevenzione primaria della salute prima di cominciare a costruire, ma chi effettua riqualificazioni e deve gestire la componente qualità dell’aria ha una vita più complessa. La maggior parte degli edifici residenziali in Italia è stata costruita in un’epoca in cui questi parametri culturali non erano presenti nelle regole della progettazione e della realizzazione e fare interventi sul costruito esistente è molto, molto complesso”.

Questo anche in ragione della modalità di costruzione e di dislocazione degli spazi?

“Naturalmente: pensiamo a situazioni di metri quadri a disposizione che sono diminuiti, con bagni ciechi o angoli cottura, con esiti importanti sulla qualità dell’aria. Ancora una volta emerge chiaramente che l’impianto non è un elemento “isolato” o peggio ancora una garanzia della qualità dell’aria “di per sé”, ma è una componente di una serie di elementi che caratterizzano il manufatto edilizio e che debbono essere considerati nel loro insieme”.

Vale per il residenziale ma anche per gli ambienti di lavoro o di servizio?

“Il mondo in particolare del lavoro in ufficio sta cambiando e stanno cambiando le logiche di utilizzo degli spazi, grazie alla crescita dello smart working, ma sta cambiando anche la forma e i layout di questi spazi, perché integrano aree destinate alle attività lavorative con ambienti destinati alla socializzazione e svago del personale e quindi anche qui è fondamentale sia in ambito di progetto, sia in ambito costruttivo e manutentivo, riuscire a cogliere il prima possibile e anticipare le problematiche legate alla qualità dell’aria indoor”.

A cinque anni dall’esplosione della pandemia Covid abbiamo imparato qualcosa?

“Abbiamo imparato, sì, ma non tutto quello che avremmo potuto: una cosa certa è che le materie scientifiche sull’argomento hanno fatto oltre che passi in avanti anche un ingresso sostanziale in aree applicative, ma l’approccio integrato è ancora un traguardo lontano, perché non abbiamo ancora una situazione in cui c’è una considerazione adeguata di competenze specifiche all’interno del percorso progettuale, costruttivo e di valutazione del rischio, ma prevale una logica di realizzazione efficiente, in cui la qualità dell’aria e la qualità dell’ambiente non hanno talvolta il peso adeguato. È un cammino lungo, ma forse l’abbiamo iniziato”.

Che cosa manca?

“Manca spesso l’interlocutore al tavolo: chi si occupa di aria indoor non è “convocato” nel momento in cui si progetta o si riqualifica uno spazio di lavoro o un ambiente di degenza, con il risultato che scelte tecniche di ventilazione, di ricambio, di filtrazione, vengono effettuate prescindendo da questi criteri. Maggiore cultura da parte dei tecnici, anche in ambiti piccoli come quelli del residenziale, può apportare maggiore qualità dell’aria, maggiore salubrità, maggiore produttività in ambiente indoor e di conseguenza maggior valore tanto alla realizzazione impiantistica, all’efficienza energetica, quanto alla sostenibilità dell’edificio nel suo insieme”.

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