A settembre, con impianti per 20 GW di potenza, il sole ha assicurato l’8% della produzione elettrica nazionale. Il punto è stato fatto al Key Energy di Rimini, nel corso del convegno “Il fotovoltaico italiano verso il 2030. Scenari per il rinnovamento e per i nuovi impianti”.
Il parco italiano conta oggi 815.000 impianti, i quali ogni anno possono produrre circa 25 miliardi di chilowattora. Tuttavia, con la fine del Conto Energia si è registrata una frenata nella posa di nuovi pannelli solari e nel quadriennio 2014-18 l’installato si è attestato ormai attorno ai 400 MW annui, appena sufficienti a sostituire la capacità produttiva che si perde con l’invecchiamento dei pannelli.
Con i nuovi obiettivi della Ue, che prevedono di raggiungere il 32% di energia rinnovabile al 2030, l’Italia dovrà rivedere al rialzo il target previsto dalla Strategia Energetica Nazionale SEN 2017 (28%), e le rinnovabili dovranno fornire il 62% dell’energia elettrica contro il 55% dell’impegno attuale. In questo scenario, il fotovoltaico dovrebbe collocarsi sui 68 GW contro i 19,7 GW del 2017, arrivando a produrre 80 miliardi di chilowattora l’anno. Questo mentre impianti per complessivi 19 GW termineranno gli incentivi tra il 2029 e il 2035.
Sono alcuni dei dati emersi nel corso del convegno “Il fotovoltaico italiano verso il 2030. Scenari per il rinnovamento e per i nuovi impianti”, organizzato da Althesys, che si è svolto a Rimini il 7 novembre e al quale, oltre da Alessandro Marangoni, ceo di Althesys, hanno preso parte Gianni Silvestrini, direttore scientifico del Kyoto Club, Carlo Pignoloni (Enel Green Power), Fabio Bulgarelli (Terna), Giuseppe Tammaro (Global Solar Fund), Matteo Riccieri (RTR), Michele Scandellari (Enerray).
Ai lavori, che sono stati conclusi dal Sottosegretario del Ministero dello sviluppo economico Davide Crippa, hanno preso parte anche Pietro Pacchione (Elettricità Futura) e Paolo Rocco Viscontini (Italia Solare).
Secondo le analisi discusse durante l’evento, l’età media degli impianti fotovoltaici italiani è compresa tra gli 8-10 anni. Le installazioni di dimensioni maggiori (utility scale di potenza superiore a 0,8 MW) costituiscono lo 0,8% in numero ma ben il 44% della capacità totale e il 50% della produzione.
Si comincia ora a sentire l’effetto dell’età dei pannelli, con una perdita media di produzione dell’1,6% all’anno. Per gli impianti entrati in esercizio prima del 2011, quando le tecnologie costruttive dei pannelli erano differenti, la riduzione media annua è del 2,2%, molto superiore al calo fisiologico (0,5% per monocristallino). Il decadimento reale rilevato è superiore a quello teorico a causa di difetti e scarsa qualità di alcuni componenti, per inadeguatezze nella progettazione, costruzione, gestione o nel monitoraggio degli impianti.
La nuova potenza (circa 400 MW/a) è appena sufficiente a sostituire quella che si perde con l’età: senza interventi di promozione degli investimenti, al 2030 la “perdita” totale potrebbe arrivare a 5 GW, pari al 25% circa della potenza esistente al 2018.
“Per avvicinarsi agli obiettivi al 2030 serve uno sforzo straordinario” – dice Marangoni – “sia per preservare e usare meglio l’esistente che per realizzare nuovi impianti. Per fare interventi di revamping e repowering servono una semplificazione dei procedimenti autorizzativi, regole chiare per mantenimento degli incentivi sulle potenze originarie, modifiche alle normative e autorizzazioni locali per l’uso delle aree asservite e un coordinamento per adeguare la rete per ricevere la potenza incrementale”.
“Il calo dei costi della tecnologia e i nuovi scenari di prezzo sul mercato elettrico potranno aiutare la crescita delle nuove installazioni” – aggiunge – “ma servono anche strumenti di policy efficaci. Bisogna creare le condizioni perché i PPA decollino e si valutino adeguatamente le potenzialità dell’autoconsumo e la disponibilità di aree. Il decreto 2018-20 in fieri è una buona notizia, ma bisogna già guardare oltre.”
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