Perché la capacità inquinante di un circuito frigorifero si esprime in tonnellate equivalenti di CO2? Dopo il problema del buco dell’ozono, il secondo grave problema che comporta l’uso dei refrigeranti è quello dell’effetto serra. Se il primo dei due è una questione ormai risolta, considerato che l’uso dei refrigeranti che sono responsabili di esso è stato proibito in molte nazioni, il secondo è ancora di stretta attualità e, a livello internazionale, solo da poco tempo lo si sta affrontano con serietà.
Al buco dell’ozono contribuivano i refrigeranti CFC (clorofluorocarburi) e HCFC (idroclorofluorocarburi) come l’R12 e l’R22 che, contenendo nella loro composizione l’elemento chimico cloro, risultavano essere tra le principali sostanze che danneggiavano l’ozono atmosferico. Preso atto del loro elevato grado inquinante, a livello internazionale si è deciso di proibire l’uso di tali gas refrigeranti: in alcune nazioni già da anni, in altre, come ad esempio i Paesi in via di sviluppo, si sta procedendo ora alla loro graduale eliminazione.
Per sostituire i refrigeranti CFC e HCFC sono stati prodotti nuovi fluidi frigoriferi di natura chimica, gli HFC (idrofluorocarburi) che, non contenendo cloro non provocano conseguenze sull’ozono atmosferico. Pochi anni dopo la loro comparsa sul mercato, però, si scoprì che essi contribuivano ad alimentare una nuova problematica ambientale, quella dell’effetto serra, ossia del surriscaldamento del pianeta Terra. Ormai è accertato che entro qualche decina di anni la temperatura media della Terra aumenterà di qualche grado centigrado e ciò porterà, oltre ad una serie di conseguenze ambientali, ad una serie modifica delle condizioni climatiche del pianeta. Di tale fatto, sicuramente stiamo già avvertendo i primi segnali: periodi di siccità, eventi climatici eccezionali, tragiche conseguenze sull’integrità dei ghiacciai delle nostre montagne.
Per quantificare la capacità inquinante di un circuito frigorifero e l’effetto inquinante di ciascun fluido frigorifero che viene impiegato nel settore del freddo, è stato definito un parametro apposito, il GWP (Global Warming Potential, potenziale di surriscaldamento complessivo) che permette di capire quale negativa portata ha tale fluido frigorifero riguardo l’effetto serra. Quindi, ogni refrigerante che viene impiegato si caratterizza per avere uno specifico valore di GWP, che viene assegnato da un organismo internazionale sulla base di studi e ricerche che vengono effettuate con continuità. Tale assegnazione viene fatta prendendo a riferimento l’effetto serra che viene provocato dalla CO2 (anidride carbonica): ad essa, per convenzione, viene assegnato un GWP pari a 1.
Come semplice esempio, si può citare il caso dell’R32 che ha un GWP fissato in 675 (anche se esso è stato in realtà recentemente aggiornato ad un valore maggiore): questo significa che ogni volta che 1 solo chilogrammo di R32 viene liberato in atmosfera, o si disperde in atmosfera a seguito di una fuga dal circuito frigorifero, è in grado di contribuire all’effetto serra con la stessa intensità con cui contribuiscono 675 chilogrammi di CO2. In sostanza, maggiore è il valore di GWP di un refrigerante maggiore è il suo contributo alla creazione dell’effetto serra quando finisce in atmosfera. Il semplice esempio dell’R32 fornisce l’idea anche della portata negativa, enormemente più alta, che i fluidi frigoriferi hanno rispetto alla CO2 dal punto di vista ambientale. Si pensi, per avvalorare tale tesi, che all’R410A viene attribuito un valore di GWP pari a 2088.
Se il GWP permette di quantificare l’impatto ambientale che ciascun refrigerante possiede, anche per ogni singolo circuito frigorifero è possibile giungere alla determinazione del suo potenziale contributo all’aumento dell’effetto serra. La capacità inquinante di un circuito frigorifero si ottiene moltiplicando la quantità di carica del circuito, espressa in chilogrammi, proprio per il GWP del refrigerante che viene impiegato in tale circuito. Sempre come esempio, possiamo riferirci al caso di un monosplit a R32, avente la carica di 600 grammi. Il potenziale inquinante di tale circuito si determina moltiplicando la sua carica (0,6 kg) per il GWP dell’R32 (675) e risulta essere pari a circa 405. L’unità di misura di tale valore risultano essere i chilogrammi di CO2. Quindi, se per ipotesi l’intera carica del circuito del condizionatore monosplit finisse in atmosfera il suo contributo all’aumento dell’effetto serra sarebbe equivalente a quello che creerebbero 405 chilogrammi di CO2. Solitamente non ci si riferisce ai chilogrammi, ma alle tonnellate di CO2 dato che circuiti frigoriferi di maggiori dimensioni di quelle di un condizionatore monosplit portano ad avere risultati proprio dell’ordine delle tonnellate, se non delle decine o centinaia di tonnellate. Nel nostro esempio, quindi, i 405 chilogrammi possono essere trasformati in 0,405 tonnellate di CO2. La carica del condizionatore quindi, se dispersa in atmosfera, causa un impatto ambientale equivalente a 0,405 tonnellate di CO2.
Proprio in tali termini il Regolamento Europeo sugli F-gas definisce i limiti degli intervalli che determinano l’obbligo di compilare il registro dell’apparecchiatura nella Banca dati telematica e di procedere periodicamente al controllo dei circuiti frigoriferi per verificare l’assenza di fughe di refrigerante da essi.
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