Le recenti decisioni del governo in materia di cessione del credito e sconto in fattura hanno creato una situazione di forte tensione. Abolire la possibilità di cedere il credito d’imposta si rivelata un’operazione complicata per molti soggetti, sia per le imprese sia per i committenti, anche a detta delle associazioni di categoria.
La situazione della cessione del credito e dello sconto in fattura si è complicata nel tempo, a causa di una serie di fattori in alcuni casi prevedibili. Ma adesso la questione fondamentale è come uscirne per le imprese, che sono state prese in contropiede dopo aver costruito uno sviluppo di business forse ambizioso, ma che ha comunque impresso un segno positivo al settore.
La situazione era delicata ed era già chiaro da tempo che il sistema degli incentivi e delle detrazioni fiscali aveva bisogno di una “manutenzione”, ma la scelta di cancellare l’opzione cessione del credito che il Governo ha formulato alla metà del mese di febbraio è stata un tackle scivolato che ha spiazzato molti.
La prima “stretta” era arrivata a novembre 2022, quando l’aliquota del SuperBonus era stata ribassata dal 110% al 90% e si era definita una durata massima e una fine della accessibilità all’opzione indicata a fine 2023. Ma il sistema ancora si fondava sulla possibilità che le imprese che prendevano in carico lavori ascrivibili all’incentivabilità fiscale potessero ricorrere alla cessione del credito e quindi utilizzare lo sconto in fattura, dell’aliquota di competenza, per attrarre clientela.
Oggi il provvedimento che vieta la cessione del credito si configura come un disincentivo commerciale: il cliente che volesse realizzare un intervento di riqualificazione del proprio impianti di riscaldamento, riscaldamento e raffrescamento, acquisizione di una fonte rinnovabile a beneficio della diminuzione del fabbisogno di energia primaria acquisito dalla rete elettrica deve considerare che il costo sarà tutto a suo carico e che una parte di esso corrispondente all’aliquota prevista dalla tipologia di incentivo potrà essere recuperata in cinque o dieci anni a seconda della normativa vigente sulla specifica modalità di incentivazione.
Quella presa dal Governo è a detta di tutti senza esclusione alcuna una decisione delicata, che presenta una serie di aspetti fiscali, commerciali, amministrativi e anche di prospettive imprenditoriali molto difficili da dirimere nell’immediato e che determina il bisogno di fare un punto per chiarire tanto lo stato dell’arte quanto le vie di uscita possibili per un mercato che era stato incentivato a crescere e che ora si trova con le gomme sgonfie.
Usiamo la metafora delle gomme sgonfie per una premessa di metodo: non sono stati eliminati gli incentivi, ne è stata vietata la cedibilità. Gli incentivi rimangono, a beneficio del cliente-contribuente e non più inseribili in circuiti di cessione che permettevano attraverso la pratica dello sconto in fattura diminuivano il peso sul cliente-contribuente e lo spostavano sull’impresa che a sua volta lo poteva trasferire più o meno scontato a terzi, prevalentemente entità bancarie o finanziarie. Quindi tocca oggi alle imprese scegliere se farsi carico o meno del beneficio fiscale e viste le dimensioni medie delle imprese e la capienza fiscale delle stesse la scelta è obbligata: rinunciare allo sconto in fattura e lasciare al contribuente il carico di smaltire nel tempo il credito fiscale accumulato.
Ma i problemi non sono solo per il futuro, sono anche per il presente. Abbiamo chiesto a due soggetti importanti per la loro rappresentatività, Confartigianato Impianti e CNA Impianti di esprimere una loro valutazione riguardo a tre punti chiave determinanti ai fini di una valutazione della situazione e dell’individuazione di possibili mitigamenti dell’impatto di questa decisione, dalla quale non sono possibili marce indietro a quanto risulta nel momento in cui scriviamo.
I tre focus sui quali abbiamo concentrato l’attenzione sono:
1.la questione crediti incagliati che gravano in condizioni di inesigibilità su molte piccole aziende che sono rimaste sovraccaricate e oggi non hanno la possibilità di utilizzare positivamente le loro posizioni creditorie a diminuzione di quelle debitorie per incapienza;
2. il carico di magazzino che le aziende si erano procurate per far fronte a un 2023 in cui continuare a utilizzare lo sconto in fattura come elemento di attrazione per investimenti da parte del pubblico;
3. gli effetti di rallentamento che la decisione presa imporranno al trend di riqualificazione energetica, edilizia e immobiliare che lo sconto in fattura aveva positivamente incentivato.
Ne parliamo con Dario Dalla Costa, Presidente di Confartigianato Federazione Nazionale Impianti e Paolo Pagliarani, Presidente Coordinatore CNA Installazione Impianti, che abbiamo sentito proprio fissando queste tre aree di approfondimento.
Dario Dalla Costa muove critiche puntuali al testo “L’unico elemento del Decreto che ci trova soddisfatti e quello della conclusiva definizione di quali sono tutti i documenti necessari da presentare per risolvere la questione della responsabilità in solido, sollevando da forti preoccupazioni burocratiche tutti coloro che istruivano le pratiche e che correvano il rischio di vedere messa a repentaglio l’azienda a causa di errori di tipo documentale. Questo è un punto di chiarezza che si chiedeva da molto tempo e che è inserito nel decreto e quindi lo consideriamo un passo in avanti, ma è poco rispetto al problema enorme che sussiste dei crediti incagliati.
“La nostra preoccupazione è davvero forte, perché il monte dei crediti incagliati è enorme. Ci sono differenti tipologie di crediti incagliati che possiamo ricondurre a due macrocategorie: importi consistenti che afferiscono principalmente al settore edile e una consistente quantità di piccoli importi in capo alle piccole imprese prevalentemente impiantistiche che non trovano soddisfazione perché le imprese sono di dimensioni tali da non avere capienza fiscale e non possono più cedere i crediti a terzi. E la nostra attenzione si è concentrata soprattutto su questi piccoli crediti che non hanno mercato.
“È necessario aumentare la capacità di assorbimento dei crediti da parte del sistema creditizio. La prima proposta sul tavolo da parte di Confartigianato è quella di cedere il credito a un acquirente pubblico di ultima istanza, particolarmente necessario per i crediti di minore importo, ma va tenuta anche in debita considerazione un’altra modalità di alleggerimento costituita dalla diluizione dell’arco temporale di utilizzo dei crediti in compensazione in mancanza di adeguata capienza fisale e non va trascurato il punto di uno sblocco del sistema che consenta che le banche possano onorare i contratti di acquisizione del credito che hanno già firmato.
“C’è comunque massima apertura da parte nostra a qualsiasi soluzione, perché il vero punto è che i crediti che oggi sono incagliati non possono rimanere in capo alle imprese, soprattutto alle più piccole che hanno limitata possibilità di farne un uso in corrispondenza alle tasse da pagare”.
Una situazione che aveva scontato – prima ancora che l’abolizione della cessione del credito, la contrazione della platea di soggetti acquirenti, che si erano ridotti al sistema bancario e che avevano visto anche una forte crescita degli sconti richiesti per ottenere la cessione.
“Noi avevamo fatto accordi quadro e protocolli di intesa con il mondo bancario, convenzioni con istituti ed enti finanziari, ma abbiamo scelto di non interagire con gli aggregatori che, in alcuni casi, si sono rivelati dei soggetti che hanno invitato a pensare ci fosse una agevolezza di cessione, ma ritirandosi poi hanno creato condizioni di restringimento della domanda e quindi di maggiori difficoltà”.
La seconda area di estrema delicatezza è quella della forte modifica delle prospettive di mercato e del valore di incentivo alla spesa costituito dalla possibilità di praticare lo sconto in fattura. Uno sconto che anche nel caso del SuperBonus pur ridimensionato dalle decisioni di novembre rimaneva un elemento attraente per investimenti per tutta la durata del 2023.
“Le imprese, soprattutto quelle dell’area dell’impiantistica (pensiamo al fotovoltaico e alle caldaie e pompe di calore) avevano fatto una pianificazione, contando sul prolungamento di queste formule di detrazione fiscale e cessione e l’avevano fatto anche per far fronte ad un’altra problematica delicata e ormai ricorrente sul mercato, la difficoltà ad accedere in tempo utile alle forniture, con ritardi di consegne, scarsa reperibilità di materiali, prezzi degli stessi estremamente variabili e tendenzialmente al rialzo che rendevano impossibile pensare di agire just in time, ma richiedevano appunto programmazione e valutazione degli investimenti. Ora le stesse imprese si trovano con magazzini carichi e prospettive di lavoro decurtate dal fatto che non possono offrire lo sconto in fattura, ma solo la detrazione quinquennale o decennale, che è decisamente meno incisiva per motivare la spesa.
“Qui lo spazio di manovra è però molto ridotto: un possibile intervento è quello di far rientrare fra gli interventi assoggettabili alla “vecchia” disciplina dello sconto in fattura anche le operazioni che non erano state documentate con CILA, ma pure quelle che facevano capo a un semplice ordine di lavorazione come per esempio quelle previste in ambito di edilizia libera, in modo da diminuire anche solo in parte il carico sulle spalle di chi aveva confidato nella possibilità di lavorare per il 2023 con le stesse regole del 2022, così come si era fatto a novembre per consentire di completare le procedure già in corso”.
Un dato che va anche a pesare lato domanda sulla riqualificazione energetica ed edilizia che questo sistema combinato di incentivazione era andato a stimolare molto positivamente.
“Il sistema aveva aperto possibilità per il mercato, aveva creato un volano di attrazione anche per un pubblico di soggetti meno abbienti e incapienti, ai quali lo sconto in fattura offriva la possibilità di accedere ad una formula di miglioramento della proprietà, dell’edificio, degli impianti, dell’efficienza energetica con positivi risvolti ambientali. L’obiettivo della transizione green non potrà essere raggiunto se insieme alle agevolazioni fiscali non verrà mantenuta la possibilità di cessione del credito e sconto in fattura, in particolare per i soggetti con i redditi più bassi e privilegiando gli interventi su immobili con classe energetica molto bassa”.
La questione dei crediti incagliati si presta a questo e anche ad altri sbocchi, come sottolinea Paolo Pagliarani: “È della massima urgenza mantenere attivo il tavolo tecnico presso il Ministero dell’Economia per trovare soluzioni concrete ed efficaci all’emergenza dei crediti incagliati nei cassetti fiscali delle imprese della filiera delle costruzioni e dell’impiantistica”.
Le osservazioni di CNA sono anche sistemiche e si addentrano sia sul lato contingente della questione, i crediti incagliati, sia sulla dimensione marcoeconomica che lo strumento della cessione del credito aveva prodotto.
“La riclassificazione della contabilità da parte dell’Istat e i numeri forniti dall’Agenzia delle Entrate consentono di avere un quadro chiaro per intervenire con la massima rapidità. Nonostante banche e assicurazioni dispongano ancora di ampia capienza fiscale, ad oggi (10 marzo, ndr) non si è ancora riattivato il mercato della cessione dei crediti incagliati, rendendo ineludibile un intervento diretto da parte dello Stato. Ma il lavoro del tavolo tecnico deve essere anche in un’ottica prospettica di più ampio respiro.
“La seconda priorità del tavolo tecnico è ridefinire in tempi rapidi il sistema degli incentivi per la riqualificazione energetica e messa in sicurezza degli immobili, strumento fondamentale per centrare gli obiettivi della transizione energetica e per dare impulso alla crescita economica come certificano le performance di PIL, occupazione e investimenti dell’ultimo biennio, grazie a oltre 50 miliardi l’anno di investimenti privati aggiuntivi”.
La valutazione infatti si amplia alla dimensione strutturale, coinvolgendo nel ragionamento non solo lo strumento della cessione del credito, ma anche gli impegni europei come quelli prospettati in maniera forse ambiziosa da un provvedimento come la Direttiva Casa Green e altri che come RePower UE.
“Occorre evidenziare che il cosiddetto Superbonus è stato già ridimensionato nei mesi scorsi riducendo il beneficio dal 110% al 90%, vincolandolo alle prime case e con limiti di reddito. Intervento che sta già producendo un rallentamento vistoso. La cancellazione dell’opzione della cessione del credito riporterebbe il mercato della riqualificazione sui valori precedenti il 2020 allontanando il Paese dagli impegni sottoscritti sul taglio delle emissioni e la riduzione dell’utilizzo delle fonti fossili”.
Mantenere il meccanismo della cessione del credito per gli interventi di riqualificazione energetica degli edifici e per il sismabonus, cancellare l’obbligo SOA per i lavori collegati ai bonus edilizi, ampliare la capienza fiscale delle banche per svuotare i cassetti fiscali delle imprese che rischiano il fallimento: queste le richieste presentate da CNA nell’ambito dell’audizione in commissione Finanze della Camera per la conversione del decreto legge su misure urgenti in materia di cessione dei crediti.
“La nostra proposta – prosegue Pagliarani – rispetto al decreto 11 2023 è lo stralcio della parte relativa alla cessione dei crediti e la riscrittura complessiva del futuro dei bonus dell’edilizia tenendo conto delle regole sul trattamento contabile degli stessi definite dall’Istat”.
Ma non solo, CNA a fronte delle forti criticità che si stanno riscontrando rinnova la richiesta di eliminare l’obbligo delle attestazioni SOA per le imprese che realizzano lavori collegati ai bonus edilizi ovvero di posticiparne l’efficacia a gennaio 2024.
“La priorità è rispondere all’emergenza provocata dai crediti fiscali che le imprese non riescono a vendere. L’utilizzo degli F24 rappresenta una soluzione praticabile, ma è fondamentale che l’ampliamento della capienza fiscale e la limitazione delle responsabilità delle banche mettano in moto un meccanismo virtuoso che consenta di svuotare i cassetti fiscali delle imprese per ridare loro ossigeno e la capacità di portare a termine i cantieri”.
Un’ulteriore proposta Pagliarani la riferisce alla gestione del processi di “smaltimento” del monte dei crediti incagliati:
“Laddove MEF, Agenzia delle Entrate e INPS trovassero le condizioni per procedere, è necessario attivare un costante monitoraggio del processo di smaltimento dei crediti incagliati che consenta di verificare l‘utilizzo fiscale dei crediti da parte delle banche e l’atteso acquisto di nuovi crediti di imposta dai cassetti delle imprese, suddivisi per tipologia di bonus che li hanno generati e per importo. Vanno altresì osservate le condizioni di tasso applicate alle operazioni di acquisto”.
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