Finché non si potrà ricominciare a produrre, nel rispetto dei criteri di sicurezza, la meccanica italiana perderà 900 milioni di euro al giorno mettendo a rischio 4.500 posti di lavoro per ogni giornata di chiusura.
La chiusura temporanea di molte aziende della meccanica rischia di avere gravi conseguenze sull’economia italiana e sull’occupazione degli addetti al settore: questa crisi potrebbe stravolgere per sempre il futuro della meccanica italiana.
«Siamo da sempre allineati con le misure adottate per gestire in sicurezza questa emergenza. Ma proprio come, con le dovute cautele, stiamo garantendo l’approvvigionamento alimentare e i servizi essenziali, dobbiamo essere messi nelle condizioni necessarie per garantire un futuro al nostro paese» – afferma Marco Nocivelli, presidente di Anima Confindustria Meccanica – «È fondamentale poter ricominciare a lavorare, in sicurezza, magari a ritmi ridotti, ma ripartire. Non possiamo mantenere totalmente bloccate le nostre fabbriche, che sono il nostro asset principale. Da imprenditori – prosegue Nocivelli – dobbiamo avere la possibilità di mettere in sicurezza i luoghi di lavoro, avere i Dpi necessari, e poi certamente garantire le distanze tra le persone, ridurre o modulare i turni, e garantire ai dipendenti spostamenti sicuri, ma dobbiamo mantenere vivo il nostro tessuto produttivo. Questo è l’unico modo per garantire al nostro paese l’uscita da questa crisi, che non sarà solo sanitaria ma economica e infine sociale se non interveniamo da subito».
Le recenti decisioni del Governo, in particolare la modifica dell’Allegato 1 del Dpcm 22 marzo, hanno escluso in larga parte le aziende della meccanica varia, che rappresenta un settore trainante per l’economia italiana. Circa nove aziende su dieci del comparto sono state infatti costrette a chiudere.
I dati elaborati dall’Ufficio Studi Anima rivelano che, per le aziende della meccanica associate ad Anima Confindustria, il fatturato a rischio, sia per l’impossibilità di avviare nuove commesse sia per i ritardi e/o le disdette degli ordinativi, si può considerare pari a circa 180 milioni di euro al giorno.
Per ogni giorno di lockdown sarebbero inoltre a rischio ben 900 posti di lavoro, ovvero l’equivalente di una media azienda che chiude ogni 24 ore.
Nel solo periodo di lockdown dal 23 marzo al 3 aprile si sarebbe così concretizzato un mancato fatturato per 1,8 miliardi di euro con il rischio di veder scomparire ben 9.000 posti di lavoro, riporta la nota dell’Ufficio Studi Anima.
«Considerando il settore della meccanica italiana rappresentato da Anima nel suo complesso, addirittura, il fatturato messo in gioco è di ben 900 milioni di euro al giorno, con il rischio di perdere ben 4.500 posti di lavoro per ogni giorno di chiusura. Nei soli dieci giorni lavorativi di lockdown» – rileva l’Ufficio Studi Anima – «il volume di fatturato a rischio è pari a 9 miliardi di euro e 45.000 persone potrebbero vedere compromessa l’esistenza del posto di lavoro».
La realtà è che in Italia, una volta risolto il problema sanitario, ci ritroveremo ad affrontarne un altro di natura diversa, ma dalle conseguenze sociali altrettanto importanti.
«Il lockdown imposto per decreto sta sgretolando la tenuta delle filiere produttive. Se non ricominceremo a produrre al più presto, perderemo fornitori e vi saranno aziende incapaci di aprire perché avranno perso per sempre la clientela estera che avevano faticosamente conquistato negli ultimi anni» – afferma Nocivelli – «la domanda continuerà ad esserci, ma l’industria italiana si troverà impreparata e in una posizione di forte debolezza».
La meccanica italiana non si trova più solo in un problema di fermo della produzione, ma di perdita della clientela.
«Gli aiuti economici a sostegno delle imprese serviranno, ma se non preserviamo oggi i nostri asset produttivi, nessun aiuto ci potrà far ripartire» – continua Nocivelli – «Essere responsabili significa anche tenere conto di questi elementi. Un Governo in una crisi come questa, come ha detto anche il premier Giuseppe Conte, deve fare delle scelte coraggiose anche se dolorose. Restiamo a casa ma salviamo il nostro tessuto produttivo e tuteliamo veramente il futuro dei lavoratori».
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